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Enozioni intervista Niko Romito, chef del ristorante 3 stelle Michelin ‘Reale’ di Castel di Sangro

Niko Romito, chef del ristorante 3 stelle Michelin ‘Reale‘ di Castel di Sangro – miglior chef dell’anno secondo il congresso gastronomico Madrid Fusión – ci racconta perché è così orgoglioso di essere italiano, come crede che il mondo cambierà dopo la pandemia globale e perché essere fedele al suo DNA e ai suoi valori è il segreto del suo successo

L’intervista:

Il mondo intero è coinvolto da questa pandemia globale. Prima di tutto, che messaggio sente di dare ai suoi clienti e soprattutto ai suoi colleghi?
Per la riapertura, dobbiamo tutti lavorare con uno scopo comune e avere come priorità il benessere delle persone, il rispetto della natura, l’interpretazione del nostro lavoro come messaggio di piacere e di salute fisica e morale. L’unico consiglio che mi sento di dare, specialmente ai giovani cuochi, è quello di fare delle scelte oggi che guardino al futuro, che siano funzionali non solo ad arginare o tamponare la situazione di emergenza corrente, ma che abbiano un senso per l’attività anche nel medio/lungo periodo. Bisogna fare delle riflessioni e delle scelte progettuali.

Si dice che dietro ogni problema ci sia sempre un’opportunità; questa pausa forzata non è facile da affrontare ma potrebbe averle anche dato modo di riscoprire il valore del tempo e l’occasione di poter studiare e sperimentare con maggiore calma. Cosa, di positivo, pensa uscirà da questa situazione?
Penso che possa e debba essere un momento di profonda riflessione e un’occasione per rivedere il mio lavoro ed i miei progetti configurandoli in una visione ancor più sensibilizzata al benessere delle persone e del pianeta intero, nel rispetto della natura e delle sue leggi, nello studio sempre più approfondito degli ingredienti naturali e dei sapori e loro combinazione ed equilibrio. 
Questo periodo di lockdown è stato l’occasione per rimettersi in gioco, per reinventarsi e reinventare, per ridistribuire il tempo, concedendo più spazio allo studio per migliorare sempre il cammino personale. Riflettere sui risultati conseguiti per acquisirne altri nel prossimo futuro quando questo tempo e questo silenzio finiranno.

Come si sta preparando alla ripresa dopo i dolorosi sacrifici e lo stop forzato in questo periodo di emergenza? 
Come ristoratore il mio primo obiettivo sarà quello di garantire la sicurezza dal punto di vista sanitario, sia per i clienti che per il personale. Alla riapertura i locali dovranno rispettare i vincoli e le norme governative e ministeriali; la distanza tra i tavoli e quella interpersonale, l’igiene e la sanificazione saranno ancora più maniacale. 
Il primo criterio di scelta delle persone sarà quanto quel ristorante ottempera a determinati standard, poi verrà la preferenza gastronomica. Non credo che i clienti avranno alcun problema ad adeguarsi a delle regole anche rigide, poiché saranno fondamentali per la salute pubblica. 
Per il prossimo futuro bisogna ripensare ad ogni format in un’ottica di miglioramento tenendo conto delle inevitabili conseguenze che questa interruzione improvvisa avrà sull’economia. 

L’emergenza Covid-19 sta riscrivendo le regole dell’enogastronomia. Come immagina il futuro della ristorazione quando tutto sarà finito?
Ho sempre pensato che la cucina del futuro non possa essere fine a sé stessa volta ad esprimere solo l’ego creativo di un cuoco, ma anzi debba essere uno strumento di formazione e di condivisione di un sapere e di una conoscenza che non deve rimanere appannaggio solo di chi, come me e i miei colleghi che studiamo e portiamo avanti la ricerca gastronomica nel privilegiato mondo dell’alta cucina. 

Qualcuno sostiene che il “food delivery” rappresenti un valido supporto ai ristoratori… la teoria può essere applicata anche alla cucina d’autore?
Il delivery nell’alta ristorazione non è sostenibile dal mio punto di vista, ma certamente un ristorante stellato cha ha una visione gastronomica di un certo tipo e che porta avanti una ricerca importante, è nelle condizioni di studiare dei piatti di qualità ad hoc per essere deliverati mantenendo tutte caratteristiche gusto, temperature, patrimonio nutrizionale di una cucina espressa di grande qualità.
Credo che il delivery non possa garantire da solo la sostenibilità di un’attività di ristorazione classica.
Può però rappresentare un interessante opportunità che viaggia parallelamente ad un modello già funzionante, può anche aumentarne il fatturato se si approccia anche in questo caso in maniera “scientifica” all’offerta.

Secondo lei quali saranno i trends che influenzeranno la ristorazione del futuro?
La tecnologia ha giocato e gioca un ruolo fondamentale ma la vera rivoluzione in cucina risiede nel modo di utilizzare la tecnologia e questo viene dalla ricerca. La tecnologia da sola non genera innovazione, è il suo utilizzo assennato e consapevole che fa la vera grande differenza.
L’utilizzo di una comunicazione digitale è, e sempre più diventerà, imprescindibile, non solo come strumento di informazione e circolazione delle notizie, ma come accesso per la fruizione dei servizi BTC. 

Se fosse l’ispettore di una guida enogastronomica dopo il coronavirus, quali criteri di valutazione prenderebbe in considerazione? 
Gli stessi di prima del coronavirus. Premessa la “messa in sicurezza” dei locali nell’ottemperanza di quelle che saranno le ordinanze ministeriali per le riaperture, credo non sia compito di una guida enogastronomica il giudizio sulla loro applicazione da parte dei singoli ristoratori. Una guida enogastronomica non può e non deve snaturarsi. Il post COVID determinerà un cambiamento nella fruizione del servizio, non nella sua eccellenza, la qualità dell’offerta gastronomica rimane immutata. Forse io introdurrei un’attenzione sull’impatto ambientale, credo che ogni sia imprescindibile. 

Il fine-dining ritornerà o rinascerà?
Sono convinto che l’altissima ristorazione espressione di ricerca, innovazione, attenzione ai dettagli, continuerà a funzionare molto bene a patto che ci si concentri sui principi di semplicità, sostenibilità, identità, preparazione, personalità.

Parliamo di cose positive: qual è stata la sua ispirazione nel creare il suo attuale menu degustazione? 
I due menu degustazione del Reale, come anche tutti i piatti in carta, nascono e si evolvono nel tempo partendo dallo studio e dalla ricerca sulla materia prima e la sua elaborazione. E’ l’ingrediente che guida la mia ispirazione.

Ci racconti del suo piatto del cuore, il “signature dish” che più di tutti la identifica, cosa lo rende unico e se lo rivisiterebbe in futuro.
Se penso a un piatto che sia emblematico della mia declinazione di semplicità e del percorso che ho fatto in questi 20 anni di lavoro, penso al CAVOLFIORE GRATINATO. Un piatto che parte dalla Melanzana arrosto, pomodoro e caramello di pesca 2009, “Carciofo e rosmarino” del 2012 e “Verza arrosto” del 2016. Nel cavolfiore, il ragionamento iniziale diventa estremo, porto al massimo in concetto di monoingrediente, è un piatto frutto del lavoro pregresso sui vegetali, sulle estrazioni, le laccature. Intendo la semplicità come un percorso tutt’altro che facile in cui si affollano gesti e intuizioni, calcoli e prove, fatica e poesia.
Il processo di preparazione del piatto è molto complesso e prevede l’applicazione di 8 diverse tecniche: dalla cottura al vapore alla maturazione-fermentazione, estrazione-riduzione, stratificazione, distillazione e affumicatura, gratinatura e tostatura. La cottura insieme alla una lunga maturazione rende il sapore complesso, svelando in progressione acidità e dolcezza, note di miele, senape e anice.

Sostenibilità, un argomento sempre più di tendenza ultimamente. Quale pensa sarà l’impatto post-Covid-19 sui ristoranti fine-dining in fatto di sostenibilità?
Sostenibilità è una parola complessa e ricca di significati, forse anche un po’ abusata ultimamente, ma è una parola in cui credo molto. Scegliere di vivere in Abruzzo e di costruire il mio mondo partendo da Castel di Sangro – a Casadonna – è una scelta molto sostenibile, perché ha creato valore sul territorio e nella regione. Valorizzare le materie prime locali, recuperare produzioni agricole e vecchie ricette diventa un’operazione ambientale e culturale importante di rivalutazione delle maestranze locali e nazionali. 
Dopo questo periodo, a maggiore ragione, la cucina dovrà ancora di più radicarsi sul territorio per creare valore a livello locale per poi diffonderlo a livello globale.

Il suo ristorante ha un posto speciale nel suo cuore; ci racconti alcuni momenti che ricorda ancora quando ha aperto e quali sono state le sue maggiori sfide quando ha iniziato.
I miei esordi sono nel segno dell’improvvisazione e dell’istinto di sopravvivenza, in un certo senso obbligati anche dalla necessità di portare avanti la trattoria di famiglia dopo l’improvvisa scomparsa di mio padre. Non ho mai ipotizzato né un diploma alberghiero né uno stage nella cucina di qualche chef importante, ma ho optato per un’autodidattica “pilotata”. La mia curiosità mi ha portato a passare ogni attimo libero sulle pagine di un libro o ai tavoli del ristorante di un collega piuttosto che di un altro. La mia più grande soddisfazione è forse proprio avercela fatta a creare Casadonna e il Reale, dopo anni di sacrifici in cui a volte io e Cristiana pensavamo di non riuscire a portare a termine il nostro progetto. Ho iniziato la mia attività a Rivisondoli prima di trasferirla a Castel di Sangro.
Ho lavorato in quasi totale isolamento per molti anni. Nell’ex Reale a Rivisondoli, ho costruito la mia cucina senza confronti con il mondo della gastronomia. È stata dura perché non avevo conferme e pareri da nessuno (se non quelli dei clienti), ma al contempo è stata per me una grande occasione di libertà. Essere autodidatti significa tracciarsi da soli la strada, scavare dentro di sé per capire dove si vuole andare. L’isolamento dei primi anni mi ha rafforzato e mi ha permesso di sviluppare un mio linguaggio gastronomico assolutamente originale. 
Quando dieci anni fa Bulgari mi offrì la direzione del ristorante del Bulgari Hotel & Resort di Tokyo io rifiutai perché volevo lavorare in Abruzzo, dove sentivo che avrei sviluppato qualcosa di importante. 
E allora decisi di acquistare Casadonna, ex monastero del ‘500 che oggi è il centro di tutte le mie attività.

Con la sua cucina, lei è interprete e testimonial di una filosofia che va oltre il semplice cibo. Ha creato un universo e un DNA potente e riconoscibile. Quali pensa siano i fondamentali del successo?
Ricerca, dedizione, perseveranza e coerenza. C’è una grande coerenza nei miei progetti: coerenza di contenuti, stilistica, di valori e di persone coinvolte. Tutto parte dalla mia filosofia di cucina, che riverbero nei vari ambiti e che, seppure declinata in maniera diversa, è sempre la stessa. 
Tutti i progetti nascono a Casadonna, dall’esperienza del Reale: Castel di Sangro è il mio quartier generale perché è lì che ho scelto di vivere ed è lì che faccio ricerca. 
E proprio la ricerca è il fil-rouge che lega attività diverse che hanno una radice comune. A ben guardarli, tutti i miei progetti hanno una forte componente sperimentale: Unforketable, per esempio, è stata la prima video enciclopedia della cucina italiana; IN è il primo progetto che ripensa in maniera organica (non solo proponendo un nuovo menù) la ristorazione ospedaliera e i suoi processi; Spazio è stato il primo ristorante-laboratorio gestito dagli allievi della mia scuola di cucina; Casadonna è un vero e proprio polo gastronomico nel centro dell’Abruzzo, con il Reale, la prima vigna in alta quota della regione, gli orti, il laboratorio di panificazione. 
Anche il rapporto con la storia è importante: la mia cucina è contemporanea ma affonda le sue radici nel passato, reinterpretando in maniera nuova la nostra tradizione culinaria. Questo è particolarmente evidente nella cucina di Spazio, ma lo è anche per alcuni piatti del Reale e soprattutto nel format elaborato per Bulgari. 

Se ci fosse una cosa di sé stesso che vorrebbe cambiare quale sarebbe?
…forse la mia ossessione per i dettagli, il mio essere maniacale in tutto quello che faccio. Se da un lato questo mio aspetto ha sempre rappresentato anche la mia forza, dall’altro mi ha “rubato” quel poco tempo libero che avrei potuto dedicare a me stesso e alla mia sfera privata

Qual è la sua frase o il suo motto preferito? 
“Bisogna andare in profondità!” lo dico prima di tutto a me stesso e poi a tutte le persone che lavorano con me, che sia in cucina, in ufficio, nei miei progetti. A tutti i livelli, ritengo che la profonda conoscenza di ciò che si fa, la voglia di saperne di più, di capire i meccanismi, di ampliare i propri orizzonti sia fondamentale per la realizzazione di piccoli e grandi obiettivi di lavoro e di vita.

Cosa la mette di buon umore? Ha qualche abitudine, hobby o rituale per caricarsi di vibrazioni positive?
Adoro fare jogging e passeggiare nelle aree circostanti di Casadonna e Reale. Correre in mezzo alla natura è una potente fonte di ispirazione e trasmette un profondo senso di libertà.

Se non avesse fatto lo chef, che cosa le sarebbe piaciuto diventare? 
Un architetto. Sono un’esteta, amo la bellezza che vedo prepotente nella semplicità e nella purezza degli elementi. Sono un grande appassionato di materiali, mi piace immaginare un fil rouge che unisce la mia cifra stilistica gastronomica a quella del design che mi circonda. Credo nella coerenza delle idee e dei valori. Se il mio ideale di bellezza in cucina lo vedo nella materia prima che regna sovrana nei miei piatti, nell’architettura vedo la stessa sovranità nei materiali che arredano e raccontano la storia del luogo dove vivono.

Come definirebbe il Made in Italy in tre parole?
Autentico, identitario, familiare.

Cavolfiore gratinato © Niko Romito
Cavolfiore gratinato © Niko Romito

Ristorante Reale
Contrada Piana Santa Liberata
67031 Castel di Sangro AQ

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