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Enozioni intervista Ernesto Iaccarino, chef del ristorante ‘Don Alfonso 1890’ di Sant’Agata Sui Due Golfi

Ernesto Iaccarino, chef del ristorante due Stelle Michelin ‘Don Alfonso 1890’ di Sant’Agata sui Due Golfi, da oltre un secolo uno dei templi dell’alta cucina italiana, ci racconta come crede che il mondo cambierà dopo la pandemia Covid-19 e perché essere fedele al suo DNA e ai suoi valori è il segreto del suo successo.

L’Intervista:

Il mondo intero è coinvolto da questa pandemia globale. Prima di tutto, che messaggio sente di dare ai suoi clienti e soprattutto ai suoi colleghi?
Ai miei clienti dico che il Don Alfonso 1890 riaprirà quando avremo condizioni sicure per farlo. Ai miei colleghi invece chiedo di avere pazienza per ancora qualche mese e sicuramente si uscirà da questa brutta situazione, concentratevi su quello che di bello si può fare in questa fase, godetevi la famiglia, che con il nostro lavoro spesso la tralasciamo.

Si dice che dietro ogni problema ci sia sempre un’opportunità; questa pausa forzata non è facile da affrontare ma potrebbe averle anche dato modo di riscoprire il valore del tempo e l’occasione di poter studiare e sperimentare con maggiore calma. Cosa, di positivo, pensa uscirà da questa situazione?
Verissimo, è stata una pausa forzata e quindi un’opportunità di riflessione personale ma anche in cucina. Abbiamo abbandonato la nostra vita frenetica ed il tempo a disposizione lo sto utilizzando per provare nuovi piatti. 

Come si sta preparando alla ripresa dopo i dolorosi sacrifici e lo stop forzato in questo periodo di emergenza? 
Stiamo aspettando le nuove normative per l’apertura.

L’emergenza Covid-19 sta riscrivendo le regole dell’enogastronomia. Come immagina il futuro della ristorazione quando tutto sarà finito?
Alcuni problemi c’erano già prima del Covid-19. Questa crisi potremmo utilizzarla per risolverli. Dal 1975 ad oggi siamo passati da 4 miliardi a circa 8 miliardi di abitanti sulla Terra, quindi abbiamo dovuto sfamare il doppio della popolazione. Ti lascio immaginare che la maggior parte delle multinazionali ma anche dei produttori si siano concentrati sulla capacità produttiva. Ragion per cui chimica e tecnologia si sono messe al servizio dell’uomo per sfamare il pianeta. Io penso che non possiamo più permettercelo e che vada completamente rivisto il modello con il quale abbiamo prodotto massivamente in agricoltura e negli allevamenti di bestiame. Le scienze, la chimica e le tecnologie odierne ci hanno permesso di arrivare sulla Luna e non mi spiego come si possa ancora parlare di pesticidi che stanno decimando le api o di fertilizzanti che via fiume arrivano a distruggere spiagge tra le più belle del mondo per colpa della proliferazione delle alghe, non mi spiego come sia possibile vedere esseri umani che vanno in terapia antibiotica e sono autoimmuni agli antibiotici. Tutto questo non è più tollerabile, spero che il coronavirus ci faccia fare una grande riflessione. La produzione che c’è stata fino ad oggi non va più bene. Io voglio una chimica e una tecnologia al servizio del pianeta per sfamare l’uomo e non al servizio dell’uomo per massimizzare la produzione e la profittabilità. Dobbiamo avere un codice etico che ci faccia capire che chi produce cibo è come un medico. Noi siamo ciò che mangiamo, ci crediamo da quando abbiamo aperto il don Alfonso e questo ancor di più vale oggi. Sintetizzata alla grande da Papa Francesco in una delle sue omelie: “come fa l’uomo a pensare di vivere sano su un pianeta malato”.

Qualcuno sostiene che il “food delivery” rappresenti un valido supporto ai ristoratori… la teoria può essere applicata anche alla cucina d’autore?
Si potrebbe fare in città forse, ma non nei locali che vivono in piccoli centri.

Secondo lei quali saranno i trends che influenzeranno la ristorazione del futuro?
Nel 1990 abbiamo venduto una villa per comprare un’azienda agricola che è biologica, in cui produciamo erbe, verdure, ortaggi, olio extravergine d’oliva, miele. Parliamo di 10 ettari. In termini di quantità non è che si può produrre tantissimo ma produciamo quasi tutto quello che occorre per il Don Alfonso. Penso che l’esempio sia più importante delle parole: l’esempio è un fatto e noi abbiamo fatto qualcosa per andare in una certa direzione. Penso che la parola sostenibilità nell’ultimo periodo sia stata un po’ svilita perché la vedo associata a tantissimi marchi industriali e commerciali. Dobbiamo alzare ancora di più l’asticella occupandoci, come chef, di tutelare l’incredibile biodiversità che il nostro Paese esprime, che sono alla base delle nostre uniche materie prime, dobbiamo sostenere gli artigiani che lavorano queste materie prime trasformandole in prodotti che poi vengono usati nelle nostre cucine. Questo è un valore aggiunto incredibile che dobbiamo difendere e tramandare ai nostri figli.

Se fosse l’ispettore di una guida enogastronomica dopo il coronavirus, quali criteri di valutazione prenderebbe in considerazione?
Darei valore anche alla capacità di un ristorante di creare uno sviluppo sostenibile.

Il fine-dining ritornerà o rinascerà?
La nostra offerta non si cambia. 

Parliamo di cose positive: qual è stata la sua ispirazione nel creare il suo attuale menu degustazione? 
Penso che il coronavirus debba essere una opportunità poiché ci ha dato tempo di riflettere per provare ad alzare l’asticella da un punto di vista di creatività ma anche da un punto di vista di disponibilità umana nei confronti del cliente. Già al Don Alfonso il cuore c’era in ogni piatto e anche nell’accoglienza c’era una attenzione particolare. Il cliente è sempre accolto come se fosse un amico di vecchia data che viene a trovarti per pranzare insieme e come tale, come uno di famiglia verrà tratto. La sostenibilità è fondamentale in questo momento e la dieta mediterranea, lo stile di vita mediterraneo è un punto di riferimento oggi ancor più di prima.

Ci racconti del suo piatto del cuore, il “signature dish” che più di tutti la identifica, cosa lo rende unico e se lo rivisiterebbe in futuro.
Il mio primo piatto che ho messo sul menù: spuma di burrata, tuorlo d’uovo cotto a bassa temperatura e tartufo bianco. È un piatto che ho ancora in carta.

Sostenibilità, un argomento sempre più di tendenza ultimamente. Quale pensa sarà l’impatto post-Covid-19 sui ristoranti fine-dining in fatto di sostenibilità?
Spero che tutti i ristoratori abbiano potuto fare una riflessione e che tutti vadano in questa direzione. Con piccoli gesti fare scelte responsabili. 

Il suo ristorante ha un posto speciale nel suo cuore; ci racconti alcuni momenti che ricorda ancora quando ha aperto e quali sono state le sue maggiori sfide quando ha iniziato.
Negli anni ottanta in Italia la grande cucina era considerata quella che guardava alla Francia. Noi abbiamo rotto gli schemi, volevamo fare grande cucina interpretando la nostra storia, la nostra cultura e le nostre tradizioni. Non è stato facile, ma oggi sulla mappa del mondo esiste anche la cucina mediterranea ed anzi molti grandi cuochi francesi moderni si stanno ispirando ad essa.

Con la sua cucina, lei è interprete e testimonial di una filosofia che va oltre il semplice cibo. Ha creato un universo e un DNA potente e riconoscibile. Quali pensa siano i fondamentali del successo?
Avere un’identità mediterranea.

Se ci fosse una cosa di sé stesso che vorrebbe cambiare quale sarebbe?
Vorrei essere un po’ meno passionale ed un po’ più calcolatore.

Qual è la sua frase o il suo motto preferito?
Lascio agli altri la convinzione di essere i migliori, per me tengo la certezza  che nella vita si può sempre migliorare.

Cosa la mette di buon umore? Ha delle abitudini, degli hobby o dei rituali a cui ricorre per ricaricarsi di positive vibes?
Il tennis

Se non avesse fatto lo chef, che cosa le sarebbe piaciuto diventare? 
Un tennista 

Come definirebbe il Made in Italy in tre parole?
Identitario, Creativo, Bello e Buono.

© Don Alfonso 1890

Ristorante
Don Alfonso 1890
Corso Sant’Agata, 11/13
80061 Sant’Agata Sui Due Golfi, Napoli

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